La fuga di Boyé e la seconda volta in B
Il presidente Poggi decise di ingaggiare un nuovo trio d'attacco sudamericano formato dagli attaccanti argentini Boyé, Aballay e Alarcon decidendo di lasciar andare Verdeal che invece avrebbe potuto essere la spalla ideale. Venne licenziato anche Allasio che lasciò la panchina al britannico Alan Astley il quale non si rendeva conto che di inglese al Genoa non erano rimasti che i natali e la ragione sociale e che ben pochi fra i suoi giocatori riuscivano a comprendere la lingua di Shakespeare. A ottobre gli fu così affiancato nuovamente Allasio, ma poco prima di Natale la guida della squadra fu affidata definitivamente a Manlio Bacigalupo, il valoroso portiere degli anni Trenta. L'unica stella (per meglio dire meteora) che risplendette in quella stagione piuttosto anonima (il Genoa finirà undicesimo alla pari con il Pro Patria) fu proprio Boyé. Dopo un esordio col botto in precampionato che lo vide mettere a segno una cinquina sul campo del Livorno, l'argentino non deluse le aspettative e alla fine della stagione risultò il miglior realizzatore del Grifone con 12 reti in 18 partite: memorabile il suo poker d'assi calato l'otto gennaio a Marassi contro la Triestina che dovette soccombere per 6 reti (a due).
Ma due settimane più tardi l'asso argentino approfittò di una trasferta a Roma per filarsela all'inglese: salì con la moglie e la madre sul primo aereo per Buenos Aires e non si fece più vedere nonostante gli estremi ed inutili tentativi dei dirigenti rossoblù di convincerlo a rimanere fatti addirittura pochi minuti prima dell'imbarco a Ciampino. La dirigenza si mise nuovamente sulle tracce di Verdeal per cercare di fargli ottenere la cittadinanza italiana, ma per tutta una serie di motivi - non ultimi quelli di salute - non poté utilizzarlo che a fine stagione in occasione di una tournée - nell'estate del 1950 - in Messico (il Genoa vi disputò due partite di cui una contro la nazionale messicana) , a San Salvador e in Costarica. Questo nuovo primato costò non poco alla squadra soprattutto in termini di fatica e di scarsa preparazione in vista del campionato 1950-51. Massimo Poggi decise di licenziare la legione sudamericana e di affidarsi ai frombolieri nordici che già così copiosi frutti avevano dato nella stagione testé conclusa a Juve e Milan. Ma gli svedesi Mellberg, Nilsson (già ala destra della nazionale) e Tapper (collezionerà solo 8 presenze in quel torneo) si dimostrarono una vera e propria delusione nonostante le 25 reti in tre e in ogni caso le loro prestazioni furono ben al di sotto delle aspettative.
La squadra era stata indebolita con una serie di cervellotiche operazioni di mercato come la vendita del forte mediano Bergamo alla Sampdoria dalla quale era arrivato un demotivato Baldini in sostituzione di Formentin (10 goal nel campionato precedente) e l'ingaggio di un acerbo Invernizzi (in prestito dall'Inter). La vecchia guardia (Becattini, Cattani, Castelli, Dante e Sardelli il cui canto del cigno ebbe luogo contro l'Udinese il 28 gennaio 1951) non riuscì ad arginare gli attacchi avversari e tanto meno la sfortuna (frattura del braccio al portiere titolare Gualazzi nell'incontro con la Juventus alla vigilia di Natale). All'inizio dell'anno cambio della guardia ai massimi vertici societari: ritorna in qualità di commissario unico Aldo Mairano che lancia accorati e patriottici proclami nella speranza di evitare il peggio che giornata dopo giornata comincia a profilarsi all'orizzonte. Le speranze dei Grifoni di rimanere nella massima serie si allontanarono nel derby del 22 aprile (perso a 3 minuti dalla fine dopo che il Genoa era riuscito a riagguantare il pareggio sul doppio svantaggio) e si infransero definitivamente a San Siro contro la corazzata Inter (finirà seconda) i cui stranieri (l'olandese Wilkes, lo svedese Skoglund e l'ungherese Nyers) affondarono pesantissimi colpi (5 goal a 2) contro la navicella rossoblù. Il Genoa retrocedeva per la seconda volta fra i cadetti proprio quando era stata appena inaugurata (in occasione del fatidico derby di ritorno) la versione definitiva (fino al 1987) dello stadio di Marassi.
Nell'estate del 1951 l'imprenditore genovese Ernesto Cauvin si assunse l'onore, ma soprattutto l'onere (in quei momenti di grande tensione ed incertezza per il futuro della Società) della presidenza. La tifoseria è in subbuglio, vuole un immediato ritorno in Serie A. Ma questa volta al Genoa, per rialzarsi, saranno necessarie due stagioni. Il primo anno la squadra viene affidata alle cure dell'allenatore ungherese Imre Senkey e - confermati due dei tre svedesi (Nilsson e Mellberg) - tra gli altri vengono acquistati il portiere Franzosi (ex nazionale) e il centrocampista Achilli dall'Inter, il difensore Azimonti (ex Pro Patria) e l'attaccante Frizzi dal Torino (sarà autore di 20 goal in quel campionato). Dopo un avvio incoraggiante la squadra si perde nei meandri della cadetteria e non riesce più a trovare il bandolo della matassa per riagganciare i primi due posti della classifica. Il solito valzer degli allenatori (a Senkey viene affiancato per qualche tempo nuovamente Garbutt, poi Giacinto Ellena diventa responsabile della squadra con Valentino Sala direttore tecnico) non permetterà la tanto sospirata promozione. Il successo invece arriderà alla Roma che (seppur battuta dal Genoa sia in casa che fuori) tornerà nella massima serie dopo un solo anno di "purgatorio" e potrà così festeggiare la promozione nel decennale della conquista del suo primo scudetto. Il Genoa quell'anno era stato attrezzato con giocatori sicuramente di categoria superiore, poco adatti ai terreni roventi e alle intemperie agonistiche della serie B.
Si pensò - e si attuò - perciò un rimpasto con atleti meno tecnici ma sicuramente più avvezzi alla seconda serie. Arrivarono così il centrattacco trevigiano Persi, l'ex centrocampista fiorentino Acconcia e il giovane attaccante Dal Monte (dall'Aosta) destinato a vestire per diversi anni la maglia rossoblù. Non fu un campionato trionfale ma l'obiettivo fissato fu comunque centrato: dopo una partenza a razzo (13 punti nelle prime otto giornate) si verificò una preoccupante flessione in autunno con una ripresa lenta ma costante verso gennaio tanto che il Genoa conquistò matematicamente la promozione sul terreno di Marassi a due giornate dal termine. A giugno si colse l'occasione del ritorno in serie A per festeggiare (con qualche mese d'anticipo) il sessantennio della fondazione: al Luigi Ferraris sfilarono i rappresentanti di tutte le società di serie A e serie B insieme alle forze rossoblù al completo (dalla prima squadra ai pulcini) comprese molte vecchie glorie che parteciparono ad una nostalgica passerella sul prato di Marassi.
Nonostante la promozione acquisita la crisi societaria sembra non avere fine. Il presidente Cauvin si dimette e benché entrino a far parte del consiglio personaggi importanti dell'imprenditoria cittadina come Armando Piaggio, Edoardo Garrone e Mario Scerni con Ugo Valperga (titolare di una importante ditta di trasporti marittimi) presidente. Nuovo campionato e nuovo allenatore: si tratta del magiaro Giorgio Sarosi, campione del Ferencvaros e della nazionale ungherese degli anni trenta, da due stagioni alla guida della Juventus con la quale aveva vinto uno scudetto nel 1951-52. Il dottor Sarosi è un grande intenditore di calcio e suggerisce ai dirigenti rossoblù l'acquisto di un fuoriclasse uruguagio di origine ligure: Juan Alberto Schiaffino. I responsabili della Società nicchiano, il prezzo è alto, forse eccessivo per una mezzala. Quindi desistono anche se una leggenda metropolitana parla di una puntata - consistente nel contratto d'acquisto del giocatore - persa al tavolo da gioco da parte di un non meglio identificato alto dirigente genoano. Fatto sta che Schiaffino finirà al Milan dove diventerà il perno centrale dello squadrone rossonero degli anni cinquanta. Arrivarono tuttavia alcuni buoni giocatori che, se non certo dotati della grandissima classe del mancato acquisto sudamericano, riusciranno nell'impresa di portare in salvo con una certa tranquillità la squadra di Sarosi.
Il norvegese Ragnar Larsen (centrocampista di valore e rendimento, già in forza alla Lazio), il danese Bennike dalla Spal, ma soprattutto l'attaccante Carapellese, (non più giovanissimo ma in grado di rinverdire i successi personali ottenuti nel Milan, nel Torino e nella Juventus, tanto da tornare ad indossare la maglia della Nazionale nel 1956) furono i principali acquisti di una stagione che si potrebbe definire interlocutoria e che finì con l'ennesimo rimpasto societario: un comitato di presidenza con a capo un commissario straordinario, l'avvocato Aldo Galletto. Anche la campagna acquisti ovviamente risentì della nuova situazione dirigenziale e il dottor Sarosi dovette far buon viso a cattiva sorte ed accontentarsi di quanto passava il convento (leggi vivaio proprio e di società minori), con i giovani Pistrin, Carlini, Firotto e Delfino e con l'acquisto del bizzarro centravanti ungherese Mike. Tuttavia quell'anno il Genoa espresse un gioco estremamente piacevole ed in qualche occasione ottenne risultati di prestigio come la vittoria sull'Inter sia a Marassi (2-0) sia a San Siro (1-0), sulla Juventus il primo maggio 1955 al Ferraris (2-0), e la vittoria sfuggita a due minuti dal termine (2 a 2 con due reti guarda caso di Schiaffino) sul campo del Milan vincitore quell'anno dello scudetto. Sarosi aveva abbandonato la panchina rossoblù di propria iniziativa a poche giornate dal termine ed era stato sostituito con il fedelissimo Bonilauri, allenatore delle giovanili che portò a termine la stagione con il Genoa all'undicesimo posto.