Doppia vita interista
Luigi Maria Prisco ci accoglie nel suo studio in via Podgora 15, dove si respira un’atmosfera di cultura e di storia. E non si contano le foto del padre Peppino, le radio d’epoca da collezione e le immagini dei gatti, sue grandi passioni. L’avvocato è una persona di valore, simpatica, che racconta con genuinità il suo passato e la sua vita assolutamente interista.
Che ricordo ha della sua infanzia?
Sono cresciuto in una famiglia normalissima, con la fortuna di aver avuto dei valori: “prima il dovere, poi il piacere”, ad esempio. Una cosa che sembra così passata di moda, ma che se tutti seguissimo… si vivrebbe decisamente meglio. Quando da bambino facevo “il cattivo” mi dicevano: “Vedrai, quando sarai al militare!”: oggi non c’è più neanche questo. Io l’ho fatto, e devo dire che mi è servito davvero.
Che papà era Peppino Prisco?
Negli anni ’50 era molto impegnato a far carriera, ma nonostante ciò era un padre molto presente. Lo vedevo tutte le sere, e la domenica guardavamo insieme la partita.
Ricorda la prima volta allo stadio?
Sono nato nel novembre ’54, e nel novembre ’58 c’è stato il mio esordio, con Bologna-Inter, che finì 2-2.
Come arrivò suo padre all’Inter?
Era la massima aspirazione della sua vita! Nacque in corso Buenos Aires al 66, e nel 1928 si trasferì con la famiglia in una casa di proprietà, in via Podgora 15, dove abbinarono casa e bottega. All’epoca non c’erano macchine, e si giocava per strada. Ci si conosceva tutti, era un altro mondo. Poi, una domenica pomeriggio, vennero a trovarci dei cari amici di famiglia, portando dei dolci in occasione della vittoria dell’Ambrosiana-Inter contro il Milan. Era una giornata speciale, da festeggiare. Mio papà si fece conquistare. Da lì si interessò e diventò interista. Andò allo stadio per la prima volta nel 1930.
E da lì non smise più di seguire la squadra…
Sì e con l'approvazione di mio nonno. All’Arena dove allora si disputavano le partite dell’Inter, papà faceva salti spericolati di qualche metro per passare di posto. Mio nonno non si interessava per niente di calcio. Ma qualcuno gli riferì delle acrobazie del figlio, così per vivere tranquillo regalò a papà l’abbonamento nel posto che voleva!
Un vero gesto di amore paterno!
Pensi che, pur essendo insensibile al calcio, aveva addirittura firmato un blocco di giustificazioni in bianco perché papà bigiava la scuola per andare a vedere gli allenamenti! Mi dispiace molto non averlo conosciuto. Se ne andò due anni prima della mia nascita. Mi chiamo come lui, e anche lui era avvocato. Era un napoletano molto affettuoso, trasferitosi a Milano per amore, dove nel 1921 reinventò la sua vita.
Oltre al nonno, ha avuto anche un papà affettuoso?
Era molto complice. Ricordo il mio primo otto in condotta a scuola. Per mia madre fu una tragedia. Papà invece mi abbracciò felice, perché i 10 in condotta li prendevano gli “addormentati” e i noiosi! Ingenuamente, io lo riferì alla maestra, che si infuriò!
E lei, perché ha scelto l’Inter?
La mia non fu una scelta!
Nessuna scelta alternativa di ribellione?
No… i figli vanno marcati stretti da subito. Mai pensato che si potesse non essere interisti! Crescendo mi sono reso conto che esistevano anche altre tifoserie, contro quella nerazzurra ovviamente.
Viveva lo stadio con suo padre?
Da giovane raramente ho visto le partite con lui. Ma siccome volevo respirare un’atmosfera popolare, mi facevo dare dei biglietti omaggio e andavo in curva con panino e giornale due ore prima dell’inizio. Lì potevo dire ciò che volevo, dato che nessuno sapeva di chi ero figlio. Mio papà però aveva tanto piacere che seguissi le partite con lui, così andai a subire la puzza dei suoi sigari e le sue urla scomposte!
Era quindi un tifoso passionale?
Aveva una conoscenza perfetta delle regole del gioco del calcio. Sarebbe stato un arbitro da 10 in pagella. Era una persona autorevole e all’occorrenza autoritario. Ma quando c’era l’Inter non ragionava più!
Una doppia personalità?
Lo faceva perché fare l’avvocato è una fatica mentale. E io lo capisco. Devi sempre controllarti ed essere razionale, non puoi mai sfogarti.
E perché allora non andava in curva?
Lui era un individualista. Gli sarebbe piaciuto andare in curva, ma lo avrebbero espulso sicuramente, perché non era intonato e non sarebbe stato capace di sottostare al capo-ultrà per i cori.
E invece sua mamma? Come ha vissuto il calcio in famiglia?
Mia mamma crebbe in una famiglia dove il calcio era ignoto. Suo padre era uno sportivo, ma non del mondo del pallone. Ai primi approcci con mio papà, lui le chiese per che squadra tifava. Lei non voleva deluderlo, ma fece un grosso errore: dato che ignorava tutto il mondo del calcio, aveva letto che il principe Umberto era un tifoso juventino. Lei era una fervente monarchica, così disse a mio padre di tifare Juve. E quasi litigarono! Mio padre non poteva stare con chi non era interista. Però le cose si aggiustarono: la mamma non aveva una fervida fede juventina, così si convertì all’Inter.
Sistemate le cose, seguiva il marito allo stadio?
Sì, dovette sempre seguirlo pur non apprezzando i suoi comportamenti da ultrà. Approfittò della mia gravidanza per non andarci più. Papà poi era molto scaramantico: nel ’67 l’Inter perse quando la mamma era con lui… così lei se la cavò ancora!
Ricorda qualche aneddoto particolare?
Ricordo che ero venuto con papà da Saint Moritz per vedere Inter-Helsinburg nel 2000. L’Inter era in una serata no. Usciti dallo stadio, incolonnati nel traffico, non avevamo la forza di dire una parola. Ci fermammo per strada a prendere un caffè e trovammo altri tifosi come noi. E papà, anziché essere consolato, dovette consolare gli altri!
La forza del gruppo…
Anche il tifo contro è altrettanto importante. Ricordo il Milan che stava per vincere lo scudetto della Stella nel ’73. La domenica si sarebbe giocato Verona-Milan. Uscii la sera prima e mi imbattei in una persona a me sconosciuta che diceva di essere il figlio di un dirigente del Milan. Si pavoneggiava di quello che avrebbero fatto l’indomani. Io l’ho ascoltato a lungo sbruffoneggiare e poi gli dissi che sicuramente non sarebbe andata come diceva lui. L’indomani, il Milan perse, e io andai a cena con la famiglia in un ritrovo di interisti. Ordinammo champagne per festeggiare, e il caso vuole che incontrai nuovamente il milanista della sera precedente! Gli puntai il dito: “Cosa ti avevo detto?!”
Qual è il rapporto che ha oggi con l’Inter?
Frequento lo stadio come facevo con papà. Vado a tutte le partite. Il centenario della squadra è stato il mio cinquantenario di tifo.
E un dirigente che le è rimasto particolarmente nel cuore?
Facchetti. Era un mio idolo, e lui aveva un affetto particolare per me.
Cosa ne pensa della violenza negli stadi?
Non è un fenomeno del calcio. È maleducazione dilagante, mancanza di valori. Manca una cultura specifica. Se non c’è un concetto educativo, i tornelli non servono a niente.