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Simbolo di fair play

zanettiE’ il capitano dell’Inter e il simbolo del fair play e della costanza e sta con i nerazzurri dal 1995. «Quando fui preso dall'Inter – Mazzola all’epoca era il direttore sportivo dell’Inter - era un po' difficile prevederlo. Però, essendo tifoso dell'Independiente da sempre, ricordo le cose che mi dicevano di lui e della Grande Inter, che ho poi conosciuto grazie alla tv. E le cose che mi diceva lui, da dirigente: mi ha spiegato cosa avrei trovato all'Inter e fatto capire l'importanza di giocare nell'Inter». 

Javier Zanetti, nato a Buenos Aires il 10 agosto 1973 è instancabile, un punto di riferimento per quella squadra che dagli alti e bassi è passata alle certezze. Sono passati molti anni lui è ancora lì. Mai una polemica, mai in discussione, la formazione senza Zanetti sembrerebbe incompleta. Forte in difesa e a centrocampo ha ricoperto spesso più ruoli senza risentire particolarmente dei cambiamenti  e la cosa che più balza all’occhio è la sua innata capacità di trovare immediatamente un punto d’incontro, dando la massima disponibilità, con qualsiasi allenatore abbia avuto sulla panchina e l’Inter non ne ha avuti pochi. 

Momento d’oro per la squadra di Mancini, i punti dalla Roma sono 7, ma il capitano, com’è nel suo carattere, ci va cauto ''E' ancora presto per parlare di fuga, il campionato è ancora molto lungo. Per ora stiamo andando bene, ma ancora non abbiamo vinto nulla, anche se ci sono i presupposti per raggiungere grossi successi''. C’è da lavorare e non abbassare la guardia, anche se, onestamente, in campionato l’Inter non pare avere attorno squadre che possano competere con la sua forza che spesso risulta frustrante per gli avversari.

Sono passati i tempi in cui si lottava per la coppa Uefa, ora che i risultati in campo sono evidenti, anche le aspettative sono aumentate e l’Inter ha voglia di un trofeo che la porti dopo anni sul tetto d’Europa. Per Zanetti la Champions League non è una competizione da prendere alla leggera "La Champions League e' particolare perche' tutto puo' decidersi in un attimo, è un po' come il Mondiale: serve anche un po' di fortuna. Lo scorso anno pensavamo di poter arrivare fino in fondo, poi contro il Valencia abbiamo dovuto fare i conti con molti infortuni. La Champions League non aspetta. Per il futuro, siamo sulla buona strada, ma si tratta di cogliere i momenti".

Saverio, El Tractor – che rende molto bene l’idea - sono solo alcuni dei suoi soprannomi Tra questi anche Pupi, così lo chiamano in Argentina, il suo Paese, anche per la fondazione che ha creato con la moglie Paula. La Fondazione Pupi si occupa di aiutare socialmente i bambini argentini meno fortunati, dare una chance, un futuro, la possibilità di avere una prospettiva e dei sogni con la nascita di uno spazio dove i piccoli socialmente più svantaggiati e diversamente abili ricevono, fin dalla prima infanzia, le attenzioni e l'istruzione necessarie in ogni momento della loro vita.

L’Argentina è nel suo cuore e lo dimostra, oltre l’impegno sociale, anche il numero delle volte che ha indossato la maglia della nazionale sudamericana: 116, battendo così Fabian Ayala. Insomma, uomo diviso tra famiglia, impegni benefici, nazionale e Inter, eppure sempre ligio al dovere e affidabile. Qualche segreto, magari una ricetta per un successo tanto longevo. No, poche cose e semplici:” Faccio sempre il segno della croce entrando in campo da quando gioco a calcio. E lo farò fino all'ultimo giorno della carriera. Poi ai compagni dico soltanto: ragazzi, ricordiamoci che dipende tutto da noi”.

 

 

 


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