Facciamo i processi
Nel mondo fatato del calcio ogni cosa torna al suo posto, come per incanto. L'importante è partire, lasciare che lo spazio indebitamente occupato da faccende noiose come corruzione, scommesse, illeciti, impicci e imbrogli venga riconquistato dai primi gol e pure dai primi insulti, che fanno tanto colore. Bastava aspettare, avevano ragione quelli che la sanno lunga: quando c'è una tempesta, chiuditi in casa e aspetta che passi, pazienza se quando sarà finita troverai qualche albero sradicato per strada. E chi gestisce il calcio la sa lunghissima: aveva chiesto a Palazzi di far cominciare a qualsiasi costo e in qualsiasi modo i campionati in tempo, e pazienza se ad essere sradicati sono stati alcuni elementari principi di giustizia, come la parità di condizioni e il diritto alla difesa. Ora che ci sono i gol, chi se ne frega: alla gente quello interessa.
Seguendo queste profonde linee di pensiero, il calcio è in effetti ripartito alla grande: magari gli stadi sono solo un po' più vuoti, uno non aveva proprio pubblico, in un altro non c'era il prato, qualche giocatore nemmeno proprio famosissimo ha detto che in Italia no, meglio non venirci, allenatori invece celebri sono stati più diretti nell'affermare che da noi il campionato fa schifo, il signorile boss dei procuratori, quello che vende ogni anno Ibrahimovic, ha sepolto il tutto sotto la lapide del declino irreversibile, e visto che lui fa il mercato c'è pure da credergli, pensa come siamo ridotti.
Purtroppo nell'oblio provocato dalla rinnovata festa del calcio da tv, molti si sono dimenticati che la faccenda scommesse non è finita. A metà settembre ci sarà il processo ter (o quater, dipende dal metodo di conteggio) riservato con lungimirante ritardo al troncone che riguarda Napoli, Lazio e Genoa. Tenere i pesci grossi alla fine è stata una geniale trovata di una giustizia sportiva che esce maciullata dall'estate: dev'essere per questo che il procuratore Palazzi, al quale hanno più o meno riso in faccia tutti, dagli accusati ai condannati agli assolti ai giudici di secondo grado, è stato prontamente confermato per altri 4 anni dal soddisfatto Abete. Basta un numero, per capirsi: 17, come i giocatori del Bari stagione 2009-10 indagati dai magistrati per aver venduto due partite e ancora a spasso per mezza serie A.
Adesso, però, questi processi bisogna farli, e i tifosi delle squadre processande hanno già cominciato un fuoco di sbarramento feroce contro chi si è azzardato a ricordare lo scempio di una giustizia a puntate, che ha privato subito qualche squadra dei propri giocatori o allenatori, consentendo invece ad altre di usufruirne almeno fino a quando non arriveranno le sentenze. Sembra irrilevante: non lo è affatto. Il principio fondante della giustizia è quello, nello sport come ovunque, di essere uguali di fronte alle regole e ai giudici. Alzi la mano chi davvero pensa che il calcio italiano lo stia rispettando. Oppure, meglio, si unisca al folto gruppo di chi pensa, e talvolta perfino dice, che non poteva andare diversamente perché l'unica vera missione era far ripartire lo show. Le ingiustizie si dimenticano, gli affari e le poltrone restano.
L'articolo è stato pubblicato su Repubblica.it a firma di Aligi Pontani.