Doping, ecco come si sfugge ai controlli
Ci sono velocisti, saltatori, mezzofondisti, marciatori. Fra le pieghe dell'indagine sul doping della procura di Bolzano, partita dalla vicenda di Alex Schwazer, sono finiti i nomi di decine di atleti italiani che fino al 2012 avrebbero fatto parte di un sistema tendente a evitare i controlli sanitari del Coni, con la complicità dei vertici federali.
Come? In vari modi ma soprattutto attraverso una tecnica tanto semplice quanto efficace: interpretando in modo elastico il Codice mondiale antidoping redatto dal Wada (World antidoping agency) laddove impone all'atleta la reperibilità, il cosiddetto «whereabouts».
Cioè, il Codice prevede di comunicare ogni tre mesi i luoghi di residenza, di allenamento, del tempo libero e di vacanza, in modo che l'antidoping possa decidere un controllo in ogni momento.
Ebbene, dall'inchiesta, che ha visto convocati una cinquantina di testimoni, è emerso che questo tipo di informazione veniva data scientificamente in modo tardivo, dopo uno o due mesi, rendendo di fatto inutile l'attività di contrasto alle pratiche illecite voluta nel 2009 dal Comitato Olimpico Internazionale.
Precisazione: nessuno di questi atleti è indagato dalla procura di Bolzano perché non si tratta di reati ma eventualmente di illeciti sportivi.
Ci sono velocisti, saltatori, mezzofondisti, marciatori. Fra le pieghe dell'indagine sul doping della procura di Bolzano, partita dalla vicenda di Alex Schwazer, sono finiti i nomi di decine di atleti italiani che fino al 2012 avrebbero fatto parte di un sistema tendente a evitare i controlli sanitari del Coni, con la complicità dei vertici federali.